Il gap salariale sospeso fra civiltà e la proposta di Civati (dal 2015)
Giace da marzo 2015 alla Camera dei Deputati la proposta di legge sulla “parità salariale” presentata da Giuseppe Civati.
Non solo il mio Segretario ma, prima di tutto, un uomo che riconosce la “questione maschile“, «non esiste una questione femminile, perché in questo Paese i problemi ce li hanno i maschi», un uomo che ha un senso di civiltà fuori dal comune.
Questione maschile e parità salariale sono legati indissolubilmente, in fondo, da una questione morale e civile.
Lo sapevano bene i Padri Costituenti, che non a caso inserirono nella Carta Costituzionale l’articolo 37 – … La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore … – ma che certo non potevano prevedere restasse inapplicato, ancora, settant’anni dopo.
E se ne fa sempre un gran parlare, ci si indigna nel nome della dignità. Ma poi?
Poi si passa oltre; si finge di volere, di potere. E intanto le legislature scorrono mentre le proposte giacciono; attendono impolverate.
Mentre anche questa legislatura scorre il “gap salariale” uomo-donna, in Italia, aumenta e seppur attestandosi ancora in una posizione favorevole rispetto alle medie europee e mondiali non manca, come nostra buona prassi, di porsi in contro tendenza.
Mentre gli altri diminuiscono il gap, mentre gli altri promulgano leggi, noi quel gap lo aumentiamo e accumuliamo polvere su una proposta già pronta, semplice, civile, ovvia, applicabile.
In Italia, dicevamo, il divario salariale si attesta intorno al 10% mentre in Europa, fra gli Stati membri, si supera in media addirittura il 16%.
Ma la tutta nostra abitudinaria controtendenza fa sì che mentre la Germania vara una legge apposita (a cui si ispira la proposta di Civati) dove, in assoluta trasparenza, si possa consultare liberamente il salario percepito a parità di mansione e si mettono in campo strumenti di controllo e sanzionatori, in Italia si è ulteriormente fermi sulle “opportunità”, con un ulteriore divario che vede l’accesso al lavoro per il solo 49% delle donne. La questione maschile, appunto.
L’Islanda, nettamente più avanti di tutti, ha addirittura sguinzagliato la polizia tributaria la quale effettua costantemente controlli a tappeto verificando le eventuali irregolarità.
In Italia, invece, le proposte di legge assumono la funzione di “acchiappa polvere”, in barba a qualsiasi emancipazione culturale, morale, civile.
E chissà se si dovrà replicare e diffondere l’iniziativa di Alexandra O’Brien (trovate qui la notizia) che nel suo locale, in Australia, applica una settimana al mese la maggiorazione del 18% sulle consumazioni maschili; maggiorazione che rispetta il “gap salariale” australiano.
Nel frattempo, noi che non siamo allergici alla polvere, insistiamo.
Insistiamo con un Manifesto di cose da fare, non da dire di fare.
Chi vuole, farà strada, insieme a noi.