Stati Generali di Possibile, quell’autocritica che è mancata
Ieri gli Stati Generali di Possibile; un clima surreale. Sembrava, all’inizio, un funerale animato esclusivamente da un Pippo Civati carico di un’onestà intellettuale e politica che, in tutta sincerità, dovrebbe far impallidire tutti i leader politici del pianeta sia per come ha iniziato sia per come ha concluso l’assemblea.
Una giornata, poi, ricca di un processo di analisi politica che, a tratti e per alcuni interventi fra i tantissimi che si sono susseguiti, sembrava trasformarsi in un vero e proprio processo, senza giudice né giuria ma con accusa da una parte e banco degli imputati dall’altra.
E di tanto in tanto ciò sembrava ancora più surreale perché, l’accusa, assumeva al tempo stesso il ruolo della difesa.
Ma l’analisi politica c’è stata, seria e giusta. Questo sia chiaro.
Ciò che non c’è stata è quel pizzico di autocritica che forse, a mio avviso, ci sarebbe voluta. Io l’ho attesa per sette ore, ma non c’è stata.
Perché nessuno, ieri (perché oggi è già un’altra storia leggendovi su Facebook), si è posto la semplice domanda “sì, ma io che tanto qui dentro quanto là fuori sono Possibile, proprio io, ho fatto tutto il possibile che serviva?”.
Amiche e amici, non prendete questo come un attacco personale né collettivo, non lo è. Ma una riflessione, questa sì, vi invito a farcela sopra.
Non perché ve lo chiedo io, sia chiaro, ma perché le parole conclusive di Pippo hanno ulteriorlmente spinto me a farlo e, forse, dovrebbero spingere anche voi:
Non ho apprezzato che una parte di Possibile, non abbia fatto campagna per Liberi e Uguali.