Sanità: solo 1 su 6 entra a medicina; gli altri volano all’estero
Anche quest’anno più di 68.000 donne e uomini in coda davanti ai portoni delle Università pronti a scommettere sul loro futuro.
Hanno bussato alle Facoltà di Medicina e Odontoiatria di tutti gli Atenei italiani, ma solo 11.568 sono i posti riservati ai futuri medici. Ergo: 1 su 6 potrà accedervi.
E gli altri?
C’è chi riproverà il prossimo anno e chi invece non ha voglia di aspettare. E allora vola: destinazione estero.
Sono sempre di più gli aspiranti camici bianchi decisi a percorrere questa strada.
Secondo i dati di Fnomceo, nel 2018 su 401.565 iscritti all’albo dei medici, 3.348 avevano una laurea conseguita all’estero. Tra i 61.593 odontoiatri, invece, ad avere la laurea estera erano 3.191 persone.
A spingerli a “guardare oltre” è la forte motivazione: diventare medici e odontoiatri senza arenarsi nei controversi test d’ingresso italiani e senza rinunciare, al tempo stesso, a una formazione di primo livello.
Tra gli atenei che più richiamano l’attenzione degli aspiranti medici italiani ci sono la Charles University di Plzen, tra le 30 migliori università d’Europa, la Masaryk University di Brno, ma anche l’Universidad Europea di Madrid, l’Universidad Europea di Valencia, l‘European University Cyprus a Nicosia e la Università Pavol Josef Safarik di Kosice in Slovacchia.
L’esperienza internazionale, infatti, fa spiccare il volo alle carriere: in media la retribuzione lievita del 40%, le prospettive di occupazione sono molto maggiori, il mercato di riferimento è più stimolante.
I test di ingresso variano da università a università ma non prevedono le (temutissime) domande di cultura generale: il candidato viene valutato solo nelle materie con cui dovrà realmente interfacciarsi durante il percorso professionale, come biologia, chimica e fisica.
E allora, amiche e amici, è innegabile che, in Italia, ci troviamo di fronte ad una enorme contraddizione.
Da una parte si continua ad insistere con il modello dell’accesso “a numero chiuso” nelle facoltà di medicina per formare le nuove maestranze di domani, dall’altra abbiamo un sistema sanitario nazionale che già da ieri, nemmeno da oggi, ha una disperata carenza di figure sanitarie; non solo mediche ma anche infermieristiche.
E’ un fallimento; per l’intero sistema ma anche per i nostri giovani fra i quali, peraltro, scatta una sorta di meccanismo discriminatorio che vede agevolati coloro che provengono da scuole la cui preparazione è più affine alle materie da affrontare, rispetto a coloro che provengono da percorsi di studio meno affini, magari più tecnici.
Ma diciamoci la verità: quando siete usciti dalla terza media, avevate così tanto le idee chiare su quale fosse veramente i vostro futuro “da grandi”? Quale fosse veramente la vostra “professione” della vita? Quale fosse il migliore indirizzo scolastico che vi ci avrebbe condotto?
Be, non so cosa rispondiate voi ma per quel che mi riguarda la risposta è una: NO.
Ma oltre a questo, a scattare c’è anche un altro meccanismo discriminatorio ed è di tipo economico.
In una sorta di “guerra fra poveri” (come molte personalità, ben più competenti di me, l’hanno chiamata) la spunta chi, alla base, ha qualche disponibilità in più e riesce a permettersi con qualche migliaio di euro dei corsi preparatori in forma privata.
Una logica ben distante da quell’articolo 34 della Costituzione Italiana dove si dice “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Per “capacità” non si intende certo quella economica.
Capacità e merito dovrebbero essere condizioni determinanti l’unico metro di giudizio in una selezione; se si storpia la prima si annulla la seconda, perché diventa un merito acquistato.
La discriminazione è servita.
Ma allora, in un Paese Italia dove il sistema sanitario è palesemente al collasso degli organici, dove i numeri del “fabbisogno” contrastano nettamente con quelli “dell’offerta formativa” da parte dei nostri Atenei, cosa si potrebbe, si dovrebbe fare?
La tesi del “sarebbero troppe le figure formate rispetto alle reali necessità” direi sia palesemente smontata; ma anche non lo fosse, ditemi, dove starebbe l’impedimento per una giovane o un giovane di decidere, al termine del proprio percorso di studi, che nonostante le scelte fatte sia per loro più soddisfacente, più gratificante, scoprire che il loro lavoro non sarà più attinente all’area della medicina, scoprendo in realtà di essere improvvisamente illuminati nel fare gli artigiani, o i consulenti finanziari, o a svolgere una qualunque altra professione?
E’ forse vietato?
Proviamo allora a mettere in piedi un sistema formativo che sia davvero in grado di mettere al centro loro, i veri protagonisti del proprio (ma anche del nostro) futuro.
Diamo loro la possibilità di entrare dove hanno scelto di essere e creiamo un sistema formativo in cui siano “gli step”, basati sulle condizioni di “capacità e merito”, a definire indiscriminatamente se per ciò che hanno scelto ne abbiano davvero le competenze.
Sarebbe abbastanza semplice, in fondo.
Basterebbe porre degli obiettivi formativi da raggiungere, magari fra il primo e secondo anno, in cui le valutazioni complessive e le reali capacità nel raggiungerli e centrarli, determinerebbero il merito di proseguire o meno i percorsi di studi.
E porrebbe anche loro stessi a fare un’intima valutazione del proprio futuro, delle proprie scelte.
Ma una rivisitazione del sistema non potrebbe funzionare se non affiancato da una logica di vero investimento da parte delle Istituzioni: occorrono più borse di studio, occorrono maggiori risorse finanziarie, occorre più ricerca, più fondi per la ricerca e occorre, senza paura, una riforma sanitaria.
Perché, lo dissi già tempo addietro, sarebbe ora di finirla di guardare la Sanità come una mera voce di bilancio sulla quale applicare tagli continui, impoverendola e considerandola scomoda perché, in fondo, rappresenta una perdita; la Sanità va vista come un investimento, perché investire nella Sanità significa investire nella nostra salute e sfido chiunque a negare che investire sulla nostra salute sia una perdita!
Sulla salute si gioca il nostro futuro e, che vi piaccia o meno, il nostro futuro sono le future generazioni di giovani a cui oggi non viene data la possibilità di garantirlo e progredirlo.
In soli 7 anni abbiamo perso novemila figure mediche, accompagnate da cinquantamila figure infermieristiche.
I dati OCSE ci dicono che siamo il Paese con il numero maggiormente inferiore alla media di laureate e laureati e dove, rispetto alla media europea, gli investimenti in istruzione e formazione sono nettamente minori.
No, dico, ci vogliamo svegliare?