Agorà d’Italia – se non fosse che è sconcertante sarebbe quasi esilarante.
Siamo abituati, ogni giorno, a vicende di questo tipo; ma il caso de L’Agorà d’IItalia, Società Cooperativa Sociale Consortile Onlus, racchiude in sé tutta una serie di aneddoti da renderlo davvero peculiare in questo già triste panorama che, come abituale, tocca in prima linea i lavoratori. Ricordando che l’Agorà d’Italia non è nuova a fatti che l’hanno più volte portata alla ribalta della cronaca, ovviamente in negativo, e’ sufficiente guardare i fatti più recenti per farsi un’idea della situazione.
Non a caso il collage di ritagli, proprio degli ultimi giorni, evidenzia quanto sia paradossale l’atteggiamento della Cooperativa che nonostante una comprovata situazione economica disastrosa, quanto meno dal punto di vista gestionale, riesce addirittura a formulare dichiarazioni che enunciano stabilità, efficienza e solidità tali da affermarne perfino una crescita. E queste dichiarazioni escono nel medesimo giorno in cui, su un’altra testata giornalistica, viene pubblicata l’ennesima protesta di dipendenti che proprio a causa di indebitamenti vari e buchi di bilancio non ricevono compensi salariali dal mese di gennaio 2016. Lo ribadisco, non è la prima volta.
Questo giro, infatti, tocca ai dipendenti delle residenze protette Il Castagno (Tribogna), Mosè de Negri (Davagna) e Santa Caterina (Crocefieschi) ma in passato, anch’esso recente, è toccato ad altre strutture sparse in tutta Italia, molte delle quali ( fra cui anche le aretine) ancora in un contesto invariato.
Questo contesto generale è ben consultabile facendo piccole ricerche su web dalle quali si possono conoscere tutti gli artefatti de L’Agorà d’Italia. Per capire davvero la situazione che vivono i dipendenti, invece, bisogna partire proprio dal loro vissuto all’interno della Società ripercorrendone le varie fasi e, al termine, giudicherete voi quanto questa “Cooperativa” non meriti di definirsi tale proprio per la violazione di quei principi cardine su cui il concetto di Cooperativa si fonde.
Alessia (il nome, e solo il nome, è di fantasia) è un’infermiera professionale e ci racconta che all’assunzione le viene immediatamente comunicata l’abituale procedura che consiste nel riconoscergli gli emolumenti a partire dal terzo mese di lavoro. Questo, le spiega il responsabile di struttura, per una prassi legata alle cooperative in genere; cioè è così, previsto proprio dalla normativa. Ed ecco il primo abuso grave; non esiste alcuna normativa che consenta alle cooperative di procrastinare i pagamenti dei salari di due mesi. Come in ogni rapporto di lavoro lo stipendio si percepisce mensilmente entro i termini di legge. Ciò che semmai è consentito è l’integrazione di compensi extra, quali straordinari, reperibilità, etc., in cedolini successivi.
Torniamo agli albori di questa nuova avventura lavorativa di Alessia; accettato questo (vile) compromesso, per ovvie ragioni di necessità che, se pur vero non dovrebbero, spesso hanno il sopravvento sulla consapevolezza di vedersi violare un senso di giustizia, si riceve il proprio programma lavorativo del mese, la così detta turnazione. E già qui il secondo problema: rispetto alle ore lavorative previste dal contratto sottoscritto, la rotazione dei turni ne trae quale somma definitiva un numero decisamente maggiore: 200 ore, in media, rispetto alle 150. Alessia, fra sé, pensa (e lo penseremmo tutti noi) “bene, significa che lavorerò di più e quindi guadagnerò qualcosa in più”. FALSO!!
Arrivata al TERZO mese, la tanto attesa prima busta (quella relativa al primo mese lavorato), svela che le ore “lavorate” in straordinario sono riconosciute solo in minima parte. La restante quota è infatti, insindacabilmente deciso dall’Agorà, inserita in “flessibilità”; ovvero in quel cumulo orario, definito “banca delle ore” che dovrebbe racchiudere quei piccoli sforamenti al nastro lavorativo o le eccedenze orarie di cui, però, è il dipendente a deciderne l’eventuale accantonamento e in quale quantità. Ma qui tutto è il contrario di tutto.
Almeno, penserete voi, nonostante i due mesi di ritardo, nonostante questa “frivolezza” dello straordinario, la busta è arrivata. Sì, è arrivata ma fuori tempo massimo: è arrivata il ventesimo giorno lavorativo del terzo mese.
Dentro a questo contesto, Alessia racconta che vi è un po’ di tutto; dal demansionamento che la costringe ad effettuare operazioni non previste nella sua professione, all’applicazione di svariate regole “auto prodotte” che facevano il bello e cattivo tempo incidendo sul suo nastro lavorativo e sul benessere del lavoro stesso. E questo, prima che possiate pensar male, non riguardava solo Alessia ma tutte le figure professionali operanti nella struttura (OSS, Cuochi, educatori, fisioterapisti, etc.) e indistintamente. Bé, almeno la parità di trattamento è garantita.
Con lo scorrere dei mesi il ritardo della corresponsione degli emolumenti è andato via via peggiorando, al punto che al mese di marzo non erano ancora state corrisposte le mensilità di dicembre dell’anno precedente né, ovviamente, quelle successive . A questo punto, chi potrebbe negarlo, la situazione ha già superato di gran lunga il limite della sostenibilità; chi non ha da affrontare le più comuni spese mensili, dal pagare un affitto di casa al comprarsi l’indispensabile per garantirsi dei pasti. Vista la situazione e il vigente silenzio all’interno della propria struttura da parte dei “responsabili”, Alessia regge fino ai primi di Aprile, quando decide di inviare una mail di protesta alla direzione generale de L’Agorà d’Italia lamentando, oltre i mancati emolumenti arretrati, anche una forma di condotta scorretta da parte della Direzione che non ha mai fornito alcuna giustificazione al personale, mantenendo un rigoroso silenzio assoluto.
Ecco come le risponde L’Agorà:
Avete letto bene?
Dunque questo è il tono, remissivo, corretto, di chi giustifica la propria posizione di difetto al personale.
Quasi si rimprovera il personale di essere poco sensibile alle difficoltà presenti nella gestione della Società. Si fa addirittura riferimento ad una riunione tenutasi ad Arezzo, sede de L’Agorà d’Italia, fra la Direzione e i vari responsabili delle strutture, nella quale è stata resa ben nota la situazione. Sì, ma ad Arezzo non c’era Alessia; e Alessia non è responsabile della struttura dove lavora e, ancora, nessuno ha notificato alcunché al personale dipendente della struttura, quanto meno in quella dove lavora Alessia. Ma anche se fosse stato fatto, sarebbe bastato? Al punto 2 le si dice in tono fermo e deciso che il mese di DICEMBRE 2015 è stato saldato! Suvvia, siamo ad aprile 2016; e il mese di dicembre è stato saldato! Alessia, ma cosa pretendi? Perché, rileggetela bene la risposta, è questo il tono arrogante che in essa viene espresso. Alessia è ben consapevole di essere dipendente di Agorà Piemonte, società cooperativa consorziata in L’Agorà d’Italia, ma da nessuna parte, ripeto, da nessuna parte, troverete alcun recapito al quale indirizzarvi una comunicazione. Gli unici indirizzi sono quelli utilizzati da Alessia, che trovate nel web e che, guarda caso, corrispondono agli stessi indirizzi presenti, a piè pagina, sulla risposta inviatale; ovvero direzione@cooperativagora.org, ovvero L’Agorà d’Italia. Non male, vero?
Ma c’è di più; pensate che nelle strutture gestite da L’Agorà è posto il divieto tassativo al personale di rivolgersi agli uffici della Cooperativa; essi hanno l’obbligo di rappresentare le proprie richieste ai responsabili delle strutture stesse i quali si faranno da tramite con la Direzione. Roba da matti.
E chi, invece, si è rivolto al responsabile in struttura chiedendo disperatamente almeno una soluzione tampone, si è sentita/o rispondere cose del tipo “provo a chiedere in Direzione se possono accreditarti un prestito anticipandoti qualcosa“. Ma come un prestito?? Agorà d’Italia deve corrisponde quattro mensilità arretrate e, su queste, un eventuale “acconto” sul dovuto sarebbe un prestito? Quindi il lavoratore dovrebbe restituire quanto gli spetta?
Alessia avrebbe ancora tanto da raccontare, ma ci fermiamo qui. Credo sia per tutti noi sufficiente. Oggi Alessia non lavora più in L’Agorà d’Italia; si è dovuta licenziare (per giusta causa) ed è ancora in attesa di ricevere gli emolumenti di febbraio, marzo, aprile 2016 e, ovviamente, il trattamento di fine rapporto. Scusate, quasi me ne dimenticavo: Alessia NON è mai stata socia della Cooperativa, come le si evidenzia al punto 1; lei era stata assunta con un normale contratto da dipendente. E’ stata però fortunata (rispetto a tanti altri); oggi Alessia lavora già in un’altra struttura e, pensate, la Direzione della stessa, non solo ha voluto conoscerla personalmente, ma le ha perfino già corrisposto la prima mensilità.
In relazione agli enunciati tagli, esposti nel punto 3, è doveroso precisare quanto reso noto dalle ASL di competenza; ovvero che i pagamenti vengono corrisposti alla Cooperativa in maniera assolutamente regolare ma, ovviamente, sulla base della presentazione delle fatture che avviene costantemente con notevole ritardo da parte della stessa non garantendosi, di fatto, una continuità degli stessi. Inoltre, contrariamente a quanto lo scritto porterebbe a pensare, le strutture lavorano a regime delle loro capacità, certo con un minimo di elasticità altalenante dovuto a fatti naturali della vita, considerato che stiamo parlano di strutture che accolgono pazienti anziani. A questo va aggiunto che gli ospiti delle strutture sono equamente distribuiti fra economicamente assistiti dalle ASL e autonomi, in grado cioè di pagarsi la retta di soggiorno. Fra quest’ultimi, purtroppo, vi sono presenti alcune situazioni di morosità sulle quali però, con stesso stupore dei Servizi Sociali, la Cooperativa non interviene aggravando ulteriormente la situazione. A tutto questo vanno aggiunte una situazione di morosità evidenziata da Equitalia e un collegamento al crac di Banca Etruria.
Ecco, sono andato un po’ lungo, lo so e me ne scuso. Ma se torniamo a quei ritagli della stampa, se ritorniamo su L’Agorà d’Italia che nello stesso giorno in cui una testata giornalistica evidenzia la protesta dei suoi dipendenti e descrive accuratamente tutti i fatti che hanno portato a questa situazione, su un’altra testata si fa promoter di se stessa decantando l’approvazione di un bilancio (palesemente inverosimile) che ne determina una crescita, non posso fare a meno di pensare che è un dovere politico, innanzi tutto, quello di prendere in analisi situazioni come queste, che coinvolgono un gran numero di lavoratrici e lavoratori privati ingiustamente della loro dignità. E’ un dovere politico assumersi tale impegno e fare chiarezza, nonché pulizia, distinguendo quelle vere Cooperative degne di tale nome da quelle che si mascherano dietro tale facciata, ma che al loro interno hanno finalità lucrative e speculative ai danni di tutti.
Come recita il titolo: “se non fosse che è sconcertante, sarebbe quasi esilarante”. Ma non lo è, e dobbiamo fare in modo di eliminare questo sconcerto, il prima #possibile. E’ assolutamente necessario.
Un abbraccio e grazie per la pazienza.