Dalle tastiere ai fatti, ecco come il linguaggio di una certa politica stereotipata arma l’odio
Odio chiama odio. E odio, ora, risponde.
In principio erano le “ruspe”, quelle di Salvini, che promettevano di “radere al suolo”, passando poi per “aiutiamoli a casa loro” di Renzi e capitolando, infine, in “questi invasori” che vengono per “rubarci il lavoro” e “impadronirsi” di una Patria nella quale, un assessore di Genova (Stefano Garassino), può liberamente spingersi fino a promettere pubblicamente “calci nel culo” agli immigrati, “pattuglioni repressivi” e ordinanze anti “orde”.
Un lessico che si diffonde come un virus, veloce al punto di aver già superato il livello critico. Un virus che è entrato nello spaccato di una Società, spaccata nel sociale ma “concentrata” nei social e che ora, raggiunto l’apice del contagio, non si contiene più e si riversa nel mondo reale.
Accade così che i “leoni da tastiera” comincino a sentirsi legittimati a tirar fuori i propri artigli e organizzarsi. Magari come successo qualche giorno fa, proprio a Genova, dove nelle dotazioni della propria auto compare improvvisamente un bastone, non utile a cambiare la gomma o a segnalare l’avaria agli altri conducenti, ma a vibrarlo senza indugio su un ragazzo pakistano che stava vendendo fiori al semaforo.
Ecco cosa produce oggi l’irresponsabile condotta di amministratori locali e personaggi politici di più o meno rilievo; ecco come una politica stereotipa cerca consensi all’insegna del populismo più basso, lo carica di odio, lo arma.
Chi si arma di bastoni, chi addirittura si procura lesioni da coltello per inscenare un’aggressione.
Comitati anti accoglienza che si formano un po’ ovunque.
Come a Genova, sempre per citare un caso, dove la scelta di allestire un centro di accoglienza a Multedo tiene banco e surriscalda gli animi cittadini, alimentati dai dissensi della maggioranza di governo locale che nemmeno si è accorta (e nemmeno si è interrogata o ha interrogato) che il proprio Sindaco ha omesso di dargliene debita informativa, pur essendo a conoscenza della decisione già da un paio di settimane. Per dire.
Che poi, in verità, non c’è nemmeno da stupirsi: la politica di un manager, divenuto sindaco, non lo obbliga certo a tener conto della maggioranza, tanto più se è sua.
Ma che lo si guardi in ambito locale o si ampli la veduta in ambito nazionale il problema sussiste e non è più un problema, è una vera e propria emergenza.
In un paese libero si offusca la “memoria” dell’esser stato a sua volta liberato; si rispolvera il lessico di quel vocabolario che giustificava azioni frutto di un disegno delirante e omicida per scagliarlo contro coloro che oggi fuggono da quella stessa libertà di cui sono stati defraudati, dove la loro vita è legata unicamente a un “credo” che, se non lo credi, o scappi o muori.
E può capitare che, scappando, ti debba anche ritrovare a dover schivare qualche bastonata che non ti saresti mai aspettato.