L’integrazione nell’era Bucci, la svolta culturale che guarda allo schiavismo
La notizia è passata un po’ in sordina ma c’è stata, ieri. La trovate qui ed è una notizia che, dopo l’editto del neo sindaco Bucci con l’intento della tolleranza zero senza distinguo nel triste mondo della povertà, che assomiglia più ad un tentativo di occultamento della stessa, rivela quella che è la vera e propria svolta culturale; quella che, in fondo, ha più volte richiamato durante la sua campagna elettorale ma senza mai entrar troppo nel dettaglio.
Ora abbiamo capito.
L’immigrazione verrà gestita “offrendo” l’opportunità di svolgere lavori socialmente utili per la nostra città.
E fin qui nulla da dire; l’inserimento degli immigrati è corretto che, oltre ad un’integrazione scolastica e socio educativa, passi anche attraverso l’opportunità di svolgere alcune mansioni di utilità sociale.
Percependo un rimborso, piccolo, ma comunque equo e tale da consentire loro un processo di integrazione anche economica nella nostra società; permettendo loro di avere un temporaneo e breve sostentamento che li accompagni in una “fase ponte” a compimento del processo di integrazione.
Ma nell’era Bucci i percorsi di integrazione assumono una distorsione tale che più di “svolta culturale” sembra essere di fronte ad una “inversione culturale”, una sorta di regressione che ci riporta all’epoca dello schiavismo.
Il piano della Giunta Bucci, infatti, sarebbe quello di “impiegare” circa 250 persone nelle operazioni di pulizia della città, in collaborazione con Amiu. Un impiego, si legge, che occuperebbe non più di mezza giornata lasciando loro la possibilità di dedicarsi allo studio nella restante parte. Il compenso spettante ad ognuno e ognuna di loro consisterà in:
“un buono pasto del valore di 7 (sette) euro”
(pennichella esclusa)
Un operazione “praticamente a costo zero per il Comune“, si legge. Ma va, non l’avrei mai detto…
Si legge, ancora, ‹ il percorso sarebbe anche d’aiuto per chi – dopo due anni di permanenza a Genova – vorrà avere riconosciuti i diritti legati alla loro presenza in città. ›
Che sommato all’entità salariale, tradotto, sembra più la carta di liberazione dalla schiavitù; proprio come, in tempi non tanto lontani, uno schiavo riscattava la posizione sociale di “uomo libero”.
Altro che “caporalato”.
Qui si lavora per mangiare e, idealmente, con un salario di poco più di un euro l’ora. Però, poi, puoi studiare.
E vi pare poco? Questo è lo schiavismo moderno; prima carta e penna non erano mica consentite.
Benvenuti nell’era Bucci, quella della “svolta culturale”.